lunedì 15 dicembre 2014

Valiant Hearts: ci sono un francese, una belga, un americano e un tedesco...

La recensione che ho intenzione di catapultarvi in faccia in data odierna è in realtà solo un pretesto per parlare di un argomento più generale, per cercare di rispondere ad una domanda che, in questi ambienti, ci si pone da parecchio tempo: il videogioco può essere didattico?



Valiant Hearts è una spesa che desideravo compiere da tempo. Non mi attirava particolarmente nel gameplay, ma il comparto grafico, frutto del motore grafico 2.5D made in Ubisoft, denominato UbiArt Framework, già responsabile di Rayman Origins, Rayman Legends e il prossimamente su questi schermi Child of Light (spoiler!), oltre alle premesse narrative: la Prima Guerra Mondiale è un conflitto fin troppo bistrattato dai videogiochi.


Valiant Hearts è quindi la storia maestosamente disegnata di cinque persone comuni (più un cane) che si ritrovano a dover affrontare quel terribile dramma che è stato il primo conflitto mondiale. Ci sono un francese, una belga, un americano e un tedesco e no, questa non è una barzelletta: è la guerra, e mai è stata rappresentata in modo così angosciante.
Angosciante, già, perché, nonostante i toni da cartone animato che caratterizzano tutte le cinque-sei ore di gioco, la paura del lanciarsi sul campo di battaglia si sente più qui che in un qualunque Call of Duty. Un momento sei lì a ridere e scherzare sul campo di addestramento, poi la prima bomba esplode a due metri da te e capisci che non c’è proprio niente da ridere. Il merito di Valiant Hearts è proprio quello di farti sentire un povero contadino del primo Novecento costretto, suo malgrado, a prendere parte a quella grande insensatezza. La trama marcia spedita dall’inizio alla fine, e non mancano i risvolti inaspettati.


Il gameplay consiste nell’esplorazione di ambienti bidimensionali in cui si procede risolvendo enigmi che vanno dal banale al moderatamente impegnativo: enigmi del genere “Porta il vino al soldato per ottenere il calzino da dare all’altro soldato che così si sposta dalla stufa che puoi quindi usare per scaldarti le chiappe”, purtroppo poco approfonditi ed esageratamente semplici in alcuni punti. Non mancano fasi più concitate (come i capitoli in cui, a bordo di un’auto, bisogna schivare degli ostacoli a ritmo di musica classica) e QTE davvero mal riusciti, messi totalmente a caso (sì, le fasi in cui bisogna curare i feriti).


Per concludere questa recensione, Valiant Hearts è il racconto che la Prima Guerra Mondiale meritava da tempo. Peccato per il gameplay carente in profondità, ma si tratta tutto sommato di un gioco da provare, magari se trovato in offerta.
VOTO: 8

Veniamo alla questione “didattica”. Valiant Hearts offre, in ogni capitolo, dei collezionabili da trovare: si tratta di reperti che caratterizzavano il conflitto, come delle statuette della Madonna intagliate nelle cartucce, dei fazzoletti imbevuti di urina che i soldati si tenevano sulla bocca per non respirare il gas di cloro e fosforo, delle lettere ai familiari…
Ogni reperto è accompagnato da una breve descrizione di cosa l’oggetto fosse, come veniva utilizzato e che utilità aveva. Oltre a questo, all’inizio di ogni capitolo vengono sbloccati dei “paragrafi informativi” che contengono delle informazioni sulla situazione che il giocatore si ritrova a vivere in quel momento (esempio: nel capitolo della battaglia della Somme c’è una descrizione di chi prese parte al conflitto, un bilancio dei morti e le armi utilizzate), che aiutano a contestualizzare il gioco. Sembra di leggere un libro di storia, e il fatto che tali letture siano opzionali rende il gioco godibile anche a chi non è interessato a questi “momenti SuperQuark”, sebbene si perda buona parte del senso del titolo.


Ora, riproponendo la domanda in apertura, il videogioco può essere didattico?
Beh, se il gioco è Valiant Hearts, la mia risposta è “perché no?”. Rispondere ad una domanda con una domanda non è il massimo dell’educazione, ma credo che questo gioco farebbe furore alle scuole medie e superiori, come materiale integrativo.
Ovvio che il giocare Valiant Hearts non sostituisce lo studio sui libri di storia, ma tutte le piccole curiosità che offre nei reperti può aiutare a suscitare l’interesse degli studenti, spingendoli a documentarsi.


In questo senso, Valiant Hearts funziona meglio di Assassin’s Creed, che, sebbene rappresenti in maniera estremamente fedele cattedrali e palazzi, commette l’errore di corredare ogni cosa con pagine e pagine di testi che, almeno dal mio punto di vista, annoiano e spaventano per la loro mole.

Quindi, il mio messaggio finale è: sì a Valiant Hearts nelle scuole. Ci si diverte e si impara qualcosa. Meglio di così?

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